Campobasso. La ex Gil prende vita con gli “animali” di Gino Marotta

Materiali innovativi per l’epoca in cui sono stati utilizzati, sagome che sotto la giusta luce sembrano prender vita, opere sensoriali capaci di far vivere l’esperienza dell’arte. E’ questo in breve ciò che si può trovare alla mostra del compianto artista campobassano Gino Marotta, presentata questa mattina, ma che sarà inaugurata ufficialmente stasera alle 18.00.
L’ampio spazio espositivo allestito presso i locali della ex Gil di via Milano a Campobasso si illumina dei mille colori riflessi nelle opere talvolta minute, talvolta mastodontiche del Marotta. Una “mini giungla” fatta di fenicotteri, struzzi, dromedari, rinoceronti, serpenti e giraffe, immortalate in sculture di plexiglas tridimensionali delle forme armoniose e dinamiche. Una foresta “di menta” in grado di affinare i sensi di chi la percorre, sculture di luce, una “video-memory” e tanto altro ancora in una galleria artistica che, seppur già conosciuta in passato, è in grado di suscitare ogni volta emozioni uniche.
Curatore della mostra il docente dell’Università del Molise, Lorenzo Canova, il quale ha presieduto alla conferenza stampa di presentazione insieme al presidente della Regione Molise nonchè presidente della Fondazione Molise Cultura, Paolo di Laura Frattura, il direttore della fondazione Sandro Arco, la moglie di Gino Marotta, Isa Francavilla, il consigliere Nico Ioffredi, ed i collaboratori del progetto Piernicola Maria Di Iorio, Mario Barone, Antonio Carissimi, Gianni Musella, Mariapia Sepede, Franco Scarlatelli, Nikolaos Hantjoglu, Giovanna Raspa, Giuseppina Rescigno, Silvia Santorelli e tanti altri ancora.
La mostra sarà visitabile fino al 28 febbraio 2014. GDP

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IL COMUNICATO STAMPA
Una grande mostra di Gino Marotta (Campobasso 1935- Roma 2012) inaugurerà sabato 16 novembre le splendide sale espositive della Fondazione Molise Cultura nel restaurato palazzo della Ex GIL di Campobasso progettato dall’architetto Domenico Filippone.
La mostra (curata da Lorenzo Canova, docente di storia dell’arte contemporanea dell’Università del Molise e Sovrintendente della Fondazione Molise Cultura) nasce come un grande omaggio a Gino Marotta nella sua regione e nella sua città di nascita, a un anno esatto di distanza dalla sua scomparsa, e sviluppa un progetto, al quale ha lavorato fino ai suoi ultimi giorni, pensato proprio per gli spazi del palazzo della Ex GIL a cui l’artista era particolarmente legato.
Raccolte intorno a otto grandi installazioni, saranno dunque esposte sessanta grandi opere pittoriche e scultoree di Marotta che coprono più di cinquanta anni di lavoro, dal Bandone del 1958 fino al Cronotopo virtuale del 2011, in un percorso che non rappresenta solo un dovuto tributo a un grande protagonista della cultura italiana e internazionale, ma una dimostrazione tangibile della vitalità creativa e della grande forza costruttiva di un uomo che ha sempre saputo rinnovarsi e mettersi in gioco, cercando sempre nuove soluzioni tecniche, formali e concettuali
Sarà possibile dunque ammirare una splendida selezione dei metacrilati di Marotta: palme, siepi e querce che sorgono dal pavimento, foreste di menta che inquadrano lo spazio in un modulo cubico, rinoceronti, giraffe e tigri che in un cono temporale riportano fino al paleolitico, cicloni e alberi elettrici che seguono il tracciato del laser in pulsanti vibrazioni di led luminosi.
Il risultato di questa mostra rispecchia dunque pienamente l’idea di apertura e sconfinamento che ha sempre segnato il lavoro di Marotta, seguendo la visione di sviluppo del futurismo elaborata nel fecondo clima della Roma degli anni sessanta di cui l’artista è stato uno degli assoluti protagonisti, elaborando tra i primissimi i codici fondanti dell’environment, di quell’opera-ambiente i cui spazi immersivi devono assorbire e coinvolgere totalmente lo spettatore in modo multisensoriale, come accade nella sua Foresta di Menta del 1968. Questo capolavoro apre non a caso la mostra di Campobasso per fare entrare gli spettatori nel mondo magico dell’artista, assorbendoli nel suo avvolgente abbraccio fatto di liane artificiali, di profumi e sapori, fondendo l’elemento visivo, tattile, olfattivo e gustativo.
L’esposizione, nei suoi spazi aperti dove le opere conversano liberamente tra loro, dimostra ancora una volta come Marotta sia stato uno dei veri artisti totali del secondo novecento, prosecutore della visione dell’artista polimorfico rinascimentale e barocco, capace di fondere pittura, scultura e architettura, di raggiungere il design e di contribuire all’apertura verso l’opera ambientale e la dimensione dello spettacolo, in una declinazione anche elettronica, con l’uso del neon prima e poi con i led delle sue ultime opere che pulsano nel buio come costellazioni artificiali nate dal suo pensiero costruttivo.
Si potranno ammirare anche i grandi quadri degli ultimi anni in cui Marotta gioca con il suo mondo iconografico componendo opere di misteriosa sospensione dove tutto viene preso da un vento enigmatico di leggerezza che fa volare le cose nel turbine leggero e fremente di una stesura lieve e raffinatissima formata su una visione composita e impalpabile, allo stesso antica nel suo rigore e futuribile nella sua visionarietà iconica.
Nella fusione di tutti questi elementi di questa opera unica e aperta, i diversi capitoli tracciati da Marotta si stagliano con energia nelle prospettive tese e rilucenti delle sale rinnovate della Ex GIL, dialogano con lo spazio e formano nuove relazioni tra le loro modulazioni e il loro impianto costruttivo, i colori acidi e squillanti si armonizzano con le oscure trasparenze dell’Oasi d’ombra che si distende verso la Foresta di Menta e il Corteo di dromedari, i Fenicotteri artificiali sembrano essere volati via dall’Oasi coloratissima e rispecchiata nelle vetrate dell’Hortus conclusus con il suo serpente blu e la sua giraffa rosa che mangia un fiore, lirica anticipazione della Ninfea blu che sboccia nel buio con le sue onde azzurre riflesse nelle sculture di luce, vibrazioni ininterrotte del genio elettrico di Gino Marotta che continua ancora a regalare nuove visioni e nuove splendenti rivelazioni.
Per l’occasione sarà stampato un catalogo pubblicato da Maretti Editore dove saranno pubblicate le immagini delle opere di Marotta già installate negli spazi della Ex GIL.

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L’INTERVENTO di FRATTURA
Oltre le radici comuni. Oltre il marchio della piccola comunità delle origini. Il talento che è tale e si manifesta con forme di universale potenza. Questo è stato, è e sarà Gino Marotta.
Questo è la personale allestita negli spazi espositivi della nostra Fondazione Molise Cultura. Non un omaggio di compiacenza provinciale, ma un omaggio intriso del riconoscimento dovuto a un grande artista che è nato qui, in questo nostro silenzioso e caldo Molise, e altrove, nel mondo, ha trovato la sua affermazione.
A un anno dalla scomparsa, ci ritroviamo tutti di fronte alle opere che ci dicono e ci testimoniano che il genio vive oltre se stesso. Sempre, per nostra fortuna.
Colori, intelligenza, avanguardia, modernità, sperimentazione nelle sembianze di quei simboli che hanno segnato in maniera inconfondibile la produzione di Gino Marotta: animali e natura in un risultato ipnotico di gioco, sogno e fascino. Di bellezza autentica che fa dei nostri timidi passi tra le meravigliose creazioni passi felici e sempre più audaci lungo l’affascinante cammino onirico che il Maestro ci ha regalato.
Così ci ritroviamo tutti avvolti da un’atmosfera di magica sospensione che tramuta la parola e l’interpretazione in ammirazione. Vera, calda, grata.
Perché grati, eternamente grati, noi molisani saremo al coraggio e alla tensione espressiva di un uomo grande nel mondo. Grande accanto ai più grandi della contemporaneità.
Con Marotta siamo saliti in alto, in un alto sublime a noi probabilmente interdetto senza la sua creatività e la sua arte.
Con Marotta siamo stati un nome nel mondo. Emozioni scalfite e vibranti nella nostra memoria.
Gino Marotta, il nostro orgoglio. Gino Marotta, il nostro esempio.
L’esempio di chi per merito, capacità e bravura ha dimostrato che le radici della provincia, ripulita dei facili sentimentalismi che non servono mai, sono lo straordinario punto di forza di una narrazione artistica compresa e apprezzata in mille altri spazi diversi.
Non sappiamo se avremo di nuovo un Gino Marotta di cui vantarci. Sappiamo, però, che l’abbiamo avuto, Gino Marotta. E questo è una impagabile fortuna.
L’allestimento all’ex Gil ce lo ricorda con una dolce prepotenza che ha a che fare con l’amore e la venerazione per il genio molisano.

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L’INTERVENTO DI SANDRO ARCO
La RINASCITA di un edificio e la NASCITA di un nuovo spazio per la città. Questa è la GIL oggi, nella nuova veste donatale dal lungo restauro. Un luogo familiare ai campobassani, ma anche un edificio di grande interesse storico e architettonico.
Il Palazzo, realizzato fra gli anni 1936/1938 su progetto dell’arch. Domenico Filippone, rappresenta l’unico esempio di architettura razionalista nella città. Nato per accogliere le attività della Gioventù del Littorio, l’edificio, con la sua pianta a C che si adeguava perfettamente all’ambiente circostante, fu riconosciuto subito dalla critica coeva quale frutto di un lavoro di progettazione di alto profilo tecnico e formale.
Oggi, dopo gli anni dell’abbandono e delle polemiche, il Palazzo ritorna a essere luogo aperto alla città nella nuova veste di centro di promozione e produzione culturale, ospitando, nei locali destinati a uffici, la Fondazione “Molise Cultura” e le strutture regionali dedicate alla cultura e al turismo e offrendo nuovi spazi all’arte e alla cultura.
A cominciare dall’Auditorium che, con i suoi 260 posti, offre alla città la giusta dimensione per ascoltare musica, confrontarsi su temi, assistere a rappresentazioni, seguire incontri.
Poi i nuovi spazi espositivi, recuperati nel progetto di restauro, che rappresentano il punto di forza di questa rinascita: la Galleria Civica che, con le sue luminose vetrate, accoglierà piccole ma significative esposizioni, personali, progetti didattici e la grande Area Espositiva sottostante con entrata da Via Gorizia adeguatamente predisposti per accogliere, finalmente nel capoluogo di Regione, grandi mostre ed eventi culturali di rilievo che, insieme a momenti laboratoriali, trascinino il visitatore in un’esperienza unica e affascinante.
Non è allora un caso che a inaugurare questo nuovo luogo destinato all’arte sia la Mostra (con la M maiuscola) di Gino Marotta, grande artista di levatura nazionale e internazionale, figlio di questa terra, tra i promotori più convinti della nascita della nostra Fondazione e suo primo Sovrintendente.
A un anno dalla morte di Gino una scelta delle sue opere più rappresentative, che segnano il suo percorso artistico ma anche la storia della ricerca artistica in Italia è qui, alla Gil. Un’esposizione attenta e ricercata, tesa a creare un mondo in cui materia, forma, luce e colore si incontrano e dialogano per dare vita ad una nuova, personale realtà fiabesca, quella di Gino Marotta.
Come Direttore della Fondazione Molise Cultura sono onorato di far parte di questa operazione di grande spinta culturale che, sono convinto, rappresenterà un punto di riferimento imprescindibile per il futuro sviluppo delle vicende artistiche e culturali della nostra Regione. L’impegno è di garantire qualità e continuità alle attività promosse dalla Fondazione, nella speranza di contribuire in modo rilevante alla crescita culturale delle presenti e future generazioni di molisani.

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L’INTERVENTO DI CANOVA
Palme, siepi e querce che sorgono dal pavimento, foreste di menta che inquadrano lo spazio in un modulo cubico, rinoceronti, giraffe e tigri che in un cono temporale riportano fino al paleolitico, cicloni e alberi elettrici che seguono il tracciato del laser in pulsanti vibrazioni di led luminosi: Gino Marotta, a un anno dalla sua scomparsa, torna a Campobasso con sessanta opere negli splendidi spazi di quella Ex GIL al cui recupero aveva dedicato una grandissima e costante attenzione.
Questa grande mostra nella sua regione e città di origine, a cui Gino Marotta comprensibilmente teneva in modo speciale, non rappresenta solo un omaggio a un grande protagonista della cultura italiana e internazionale, ma una prova tangibile della vitalità creativa e della grande forza costruttiva di un uomo che ha sempre saputo rinnovarsi e mettersi in gioco fino agli ultimi giorni, cercando sempre nuove soluzioni tecniche, formali e concettuali e senza temere relazioni e confronti affascinanti e pericolosi, come nella sua mostra alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma dello scorso anno.
Il risultato di questa mostra rispecchia dunque pienamente il suo progetto, nell’idea di apertura e sconfinamento che ha segnato costantemente il suo lavoro, seguendo la visione di sviluppo del futurismo elaborata nel fecondo clima della Roma degli anni sessanta di cui Marotta è stato uno degli assoluti protagonisti, elaborando tra i primissimi i codici fondanti dell’environment, di quell’opera-ambiente i cui spazi immersivi devono assorbire e coinvolgere totalmente lo spettatore in modo multisensoriale, come accade nella sua Foresta di Menta del 1968. Questo capolavoro, esposto nel Teatro delle mostre a Roma proprio nel 1968 e che per fortuna ha rivisto recentemente la luce dopo anni di oblio, apre non a caso la mostra di Campobasso per fare entrare gli spettatori nel mondo magico dell’artista, assorbendoli nel suo avvolgente abbraccio fatto di liane artificiali, di profumi e sapori, fondendo l’elemento visivo, tattile, olfattivo e gustativo come se si sprofondasse tra le alghe di un lago di menta e realizzando in modo geniale le intuizioni dell’arte polisensoriale teorizzata da Marinetti. L’unicità della Foresta di Menta è tuttavia anche quella di legare tutte le ricerche di Marotta coniugando la sua ironia e il suo sguardo ludico al rigore progettuale che lo ha sempre visto dialogare col design e l’architettura, in un modulo cubico che, nella sua raffinata sintesi polimaterica, dialoga in modo paritario con le ricerche poveriste e con il minimalismo, a cui aggiunge una qualità tutta italiana della scansione prospettica e della concezione cromatica, dove le strisce di plastica fremono di vibrazioni di verde nella stasi o nel movimento generato dall’attraversamento dei visitatori.
Non casualmente la stessa idea di inglobamento dello spettatore nello spazio, nell’architettura, nella luce e nel colore dell’opera, che provoca un sottile e raffinato senso di disorientamento, si ritrova anche nel solenne Cronotopo virtuale del 2011, altra opera-ambiente che conclude l’arco temporale dei lavori esposti. Qui l’artista, incidendole col laser percorso dalla luce artificiale, ripercorre alcune immagini portanti della sua carriera, costruendo un piccolo labirinto traslucido dove la scatola prospettica si scompone e si sovrappone in una simultaneità iconica di punti di vista e di intrecci spazio-temporali incastrati in un luogo apparentemente accogliente ma che ha il potere di ribaltare e mettere in crisi le nostre certezze percettive.
Seguendo dunque la seconda matrice della sua opera, derivata dalla Metafisica di Giorgio de Chirico, che tra l’altro lo aiutò in occasione del suo primo arrivo a Roma da ragazzo, Marotta struttura le sue opere sul modello di una geometria in cui i punti prospettici si sincronizzano in un gioco di chiusure e di vuoti, di volumi architettonici e di rivelazioni matematiche, dosando in modo sapiente anche la dialettica di contrasti e armonie delle luci e delle ombre. Marotta accende così i colori pop che lo stesso de Chirico aveva anticipato nei suoi quadri ricevendo l’omaggio dei suoi ammirati e più giovani continuatori, rischia cromatismi acidi e si immerge in tenebre splendenti di magnifici riflessi sintetici e industriali che ci regalano tutta la sua sfarzosa e rigorosissima intensità della sua visione cromatico-pittorica.
La mostra di Campobasso, nei suoi spazi aperti dove le opere conversano liberamente, evidenzia ancora una volta come Marotta sia stato uno dei veri artisti totali del secondo novecento, prosecutore della visione dell’artista polimorfico rinascimentale e barocco, capace di fondere pittura, scultura e architettura, di raggiungere il design e di contribuire all’apertura verso l’opera ambientale e la dimensione dello spettacolo, in una declinazione anche elettronica, con l’uso del neon prima e poi con i led delle sue ultime opere che pulsano nel buio come costellazioni artificiali nate dal suo pensiero costruttivo.
L’interesse di Marotta per l’elemento artificiale rimodellato dal pensiero e dalla mano dell’artista, in dialogo attivo e propositivo con il mondo della produzione e dell’industria è del resto evidente sin dal Bandone del 1958, in cui la suggestione informale dialoga con il contesto internazionale del nouveau réalisme e del new dada nel riutilizzo dei materiali di recupero a cui l’artista imprime tuttavia una direzione architettonico-costruttiva del tutto personale che lo porta presto alle pitture-oggetto dei primissimi anni sessanta e al successivo uso di quel metacrilato che diventa il suo materiale di elezione.
Sono gli anni in cui l’artista entra in rapporto diretto con quel contesto internazionale che ha portato alla pop art, a cui Marotta dà un originale contributo proprio con i suoi metacrilati, dove fonde le sue esperienze progettuali di designer alla sua sintesi iconica e strutturale che ha dato un senso nuovo al concetto stesso di scultura.
Marotta, infatti, non ha rinnegato il rapporto con la produzione industriale, ma lo ha posto al centro delle sue opere nate dalla sua azione disegnativa e progettuale. Così è stata la materia plastica la protagonista di questo intenso dialogo che Marotta ha intrapreso seguendo quell’idea costruttiva che negli anni Cinquanta e Sessanta ha reso l’Italia un esempio per moltissime ricerche internazionali.
Attraverso il metacrilato, l’artista ha superato l’idea statica della scultura spostandosi, parallelamente ad alcuni compagni di strada, proprio verso l’esito (già intuito dai futuristi) dell’arte ambientale, di nuovo quell’environment in cui l’opera si apre per fare entrare lo spettatore al centro del suo nucleo strutturale. Quest’idea di spalancare l’arte alla dimensione della vita conduce così a installazioni dove è diventato centrale l’interesse di Marotta per la dialettica e il confronto tra naturale e artificiale.
In queste opere degli anni sessanta e primissimi settanta, difatti, gli alberi, i boschi, le palme, gli animali, il mare e la pioggia sono di metacrilato, spesso con inserimenti di neon, per annunciare le metamorfosi della modernità di un’arte che trasforma e modella il paesaggio, ma anche per celebrare industrialmente il sentimento elegiaco della perdita, la nostalgia per un mondo rurale in via di estinzione, come quello del suo Molise.
Nell’età dell’oro della Roma degli anni sessanta, Marotta approda allora alla dimensione aperta e collettiva dello spettacolo, come territorio di dialogo e interazione per le arti sulla linea inaugurata proprio dal futurismo. Muovendo da questi presupposti, e soprattutto nel suo lungo sodalizio con Carmelo Bene, dal film Salomè fino agli spettacoli teatrali Nostra Signora dei Turchi e Hommelette for Hamlet, Marotta sposta in modo quasi naturale la sua attenzione verso una dimensione legata al teatro e al cinema, intesi come forme espressive che immergono e coinvolgono lo spettatore nello spazio dell’opera.
Marotta, con le sue Veneri artificiali che citano l’immagine della Venere e Amore di Lucas Cranach ma usando comunque materiali extrapittorici e metacrilato, ha poi anticipato il contesto di recupero della storia dell’arte degli anni ottanta, nel cui contesto si collocano la grande installazione in pietra Le rovine dell’Isola di Altilia della Biennale di Venezia del 1984 (un omaggio all’area archeologica dell’antica città romana di Sepino, i cui resti sorgono non lontano da Campobasso e a cui l’artista era molto legato) e la straordinaria scenografia di Hommelette for Hamlet (1987) che vale a Marotta il Premio Ubu nel 1988, in una nuova stagione degli anni ottanta che mostra un artista allo stesso tempo differente e coerente rispetto alle esperienze precedenti.
Tuttavia, mai appagato dai risultati raggiunti, Marotta, dalla fine degli anni novanta in poi, rinnova i suoi metacrilati, facendone quadri, sculture e installazioni con inserti digitali e di led luminosi come il citato Cronotopo virtuale .
In questa e nuova e felice stagione, l’artista si è concesso anche il lusso elegante di una pittura in cui, come de Chirico con la sua Neo-Metafisica, Marotta gioca con il suo mondo iconografico componendo opere di misteriosa sospensione in cui tutto viene preso da un vento enigmatico di leggerezza che fa volare le cose nel turbine leggero e fremente di una stesura lieve e raffinatissima formata su una visione composita e impalpabile, allo stesso antica nel suo rigore e futuribile nel suo immaginario.
In questo senso si comprende di nuovo come una mostra di Gino Marotta non sia fatta da una serie di opere in successione, ma come formi al contrario una sola grande opera ambientale che gli spettatori potranno percorrere come una splendida avventura in un mondo fantastico, composto dall’integrazione totale di installazioni, scultura e pittura, in una dimensione aperta e spettacolare che si dona alla vita per abbattere i confini tradizionali formando nuovi codici spaziali e costruttivi.
Nella fusione di tutti questi elementi di questa opera unica e aperta, i diversi capitoli tracciati da Marotta si stagliano con energia nelle prospettive tese e rilucenti delle sale rinnovate della Ex GIL, dialogano con lo spazio e formano nuove relazioni tra le loro modulazioni e il loro impianto costruttivo, i colori acidi e squillanti si armonizzano con le oscure trasparenze dell’Oasi d’ombra che si distende verso la Foresta di Menta e il Corteo di dromedari, i Fenicotteri artificiali sembrano essere volati via dall’Oasi coloratissima e rispecchiata nelle vetrate dell’Hortus conclusus con il suo serpente blu e la sua giraffa rosa che mangia un fiore, lirica anticipazione della Ninfea blu che sboccia nel buio con le sue onde azzurre riflesse nelle sculture di luce, vibrazioni ininterrotte del genio elettrico di Gino Marotta che continua ancora a regalare nuove visioni e nuove splendenti rivelazioni.

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LA BIOGRAFIA DI GINO MAROTTA
a cura di Isa Francavilla Marotta

Gino Marotta (Campobasso 1935 – Roma 2012)
Nasce a Campobasso il 20 giugno 1935. A soli quindici anni si trasferisce a Roma dove frequenta il liceo artistico e entra in contatto con gli artisti che animavano la scena romana fra cui de Chirico, che lo aveva ricevuto qualche anno prima e aveva accettato di guardare i suoi primi lavori, Capogrossi, Guttuso, Turcato, Cagli.

1949-1959
Le sue prime opere pittoriche risalgono alla fine degli anni Quaranta, ma è dalla decade successiva che sviluppa una serie di differenti soggetti, stili e tecniche: opere polimateriche come arazzi, encausti, velatini e amalgame di sabbia. A quegli anni risale il suo sodalizio con Emilio Villa che nel 1957 presenta la sua prima mostra personale alla Galleria Montenapoleone di Milano.
In seguito realizza i Piombi, quadri di piombo e stagno, saldati con la fiamma ossidrica, che espone per la prima volta a Roma alla Galleria La Salita, con la presentazione di Franco Russoli.
Con questi lavori è presente già nel ’57-’58 insieme a Burri, Fontana, Capogrossi, Balthus, Licini e Léger in mostre internazionali come Pittori d’oggi Francia-Italia a Torino, Modern Italiensk Maleri a Copenaghen e molte altre rassegne internazionali.
Nel 1958 è tra gli artisti invitati da Marco Valsecchi alla mostra Giovani artisti italiani. Il Giorno, alla Permanente di Milano e da Lionello Venturi alla mostra Nuove tendenze dell’arte italiana, alla Rome-New York Art Foundation di Roma.
La sua ricerca lo porta a realizzare prima gli Allumini, sottili lamine di alluminio saldate, poi i Bandoni, lamiere di ferro trovate, asportate dalle baracche abbandonate, che conservano le immagini popolari stratificate nel tempo come provocanti figure femminili, pubblicità di macchine da cucire, scritte varie e molte altre immagini. Marotta si limita ad assemblarle, compiendo un’operazione neo-dadaista; i Bandoni verranno esposti nel 1959 a Milano alla Galleria dell’Ariete, presentati da Gillo Dorfles e a Roma alla Galleria Appunto, con un testo di Cesare Vivaldi.
Sempre nel ’59 viene chiamato da Corrado Cagli a realizzare gli apparati scenici del Misantropo di Menandro rappresentato all’Olimpico di Vicenza con la regia di Luigi Squarzina.

1960-1969
Dopo la stagione dell’informale alcuni giovani artisti provenienti da esperienze differenti (Pietro Cascella, Piero Dorazio, Gino Marotta, Fabio Mauri, Gastone Novelli, Achille Perilli, Mimmo Rotella, Giulio Turcato) fondano il Gruppo CRACK, con l’intento di proporre una nuova versione del neodadaismo e la riscoperta della tradizione futurista.
Nei laboratori delle industrie chimiche e delle fonderie Marotta sperimenta nuovi materiali quali poliuretani e poliesteri e realizza sculture servendosi dei procedimenti industriali per la produzione in serie.
Le opere dei primi anni Sessanta sono esposte nel ‘64 alla Tredicesima Triennale di Milano e nella personale alla Galleria Anthea di Roma, con il testo di Emilio Villa Anatomia Ginomarotta. L’anno successivo sono presenti alla IX Quadriennale Nazionale d’Arte al Palazzo delle Esposizioni di Roma e nella personale 10 Sculture alla Galleria dell’Ariete di Milano, con la presentazione di Giorgio Soavi.
Nella prima metà del decennio esegue vari interventi architettonici tra cui le decorazioni per la facciata della Sinagoga di Livorno e, nel Palazzo della RAI di Viale Mazzini a Roma, le decorazioni del controsoffitto metallico e i bassorilievi in bronzo fuso.
La vocazione all’uso di materiali inediti prosegue nelle sculture ritagliate nel metacrilato che ben presto si trasformano in Environment. Basti pensare al Bosco Naturale-Artificiale (1967), al Nuovo Paradiso (1968) e all’Eden Artificiale (1969) con cui è presente, oltre che nella straordinaria mostra Lo Spazio dell’Immagine di Foligno (1967), alla IX Bienal de São Paulo do Brasil (1967), alla Exhibition of contemporary Italian art, National Museum of Modern Art di Tokyo, all’Esposizione Universale di Montreal (1967), alla mostra 4 Artistes Italiens plus que Nature, Musée des Arts Décoratifs, Palais du Louvre, a Parigi con Ceroli, Kounellis e Pascali (1969) e alla Galleria de Nieubourg di Milano (1969).
Nella rassegna Teatro delle Mostre (1968) alla Galleria La Tartaruga di Roma, espone l’opera-ambiente multisensoriale Foresta di menta, una lunga serie di fili verdi ricavati da materiali plastici che danno la suggestione di liane appese, inseriti in un ambiente profumato di menta. Nello stesso anno, nei tre giorni di Arte Povera+Azioni Povere, manifestazione organizzata da Celant ad Amalfi, partecipa con Giardino all’italiana, un intervento a carattere urbano in cui schiera delle balle di paglia. Nel maggio del 1968 è invitato a esporre alla XIV Triennale di Milano.
In questi anni esegue numerosi alberi, una complessa zoologia artificiale in metacrilato e le opere-ambiente Mare artificiale e Pioggia artificiale del 1969.
Amico di poeti come Ungaretti e Cardarelli, realizza preziosi libri con Emilio Villa, Giorgio Soavi e Antonio Delfini.

1970-1979
Nella prima metà del decennio continua la realizzazione di opere in metacrilato e materiali plastici che in seguito abbandonerà per più di venti anni.
A gennaio la personale Il Giardino all’Italiana, alla Modern Art Agency di Napoli, presentata da Achille Bonito Oliva con il testo L’animazione del falso reale.
Marotta ha partecipato e contribuito attivamente alla realizzazione di alcune delle più interessanti mostre italiane contemporanee: oltre alla già citata Lo Spazio dell’Immagine del 1967, anche Amore Mio a Montepulciano (1970) e Vitalità del Negativo al Palazzo delle Esposizioni di Roma (1970-71) dove espone, accanto alle installazioni del precedente decennio, l’opera-ambiente Misura naturale cava in fiberglass, un grande cubo al cui interno lo spettatore scopre l’impronta al negativo di un albero.
Con la mostra Amore mio Marotta rende pubblica una ricerca iniziata alla fine degli anni Sessanta in cui smalti industriali dai colori acidi e violenti su lamiere zincate o ossidate e su lastre di metacrilato riproducono i suoi amori della Storia dell’Arte, da Ingres a Tiziano, da Cranach a Hayez, o immagini da rotocalco di procaci pin-up. Nelle scatole di metacrilato le figure lasciano trasparire materiali di diversa natura, dal cartone alle piume, dalla carta argentata alle stoffe di gusto popolare. Il tutto svela da un lato l’amore di Marotta per la grande pittura, dall’altro una vena d’ironia che accompagna costantemente la sua ricerca.
Nel 1971 partecipa alle mostre Elf Italiener Heute al Museum am Ostwall di Dortmund e Multiples The First Decade al Museum of Modern Art di Philadelphia.
Nel 1972 è invitato alla X Quadriennale d’Arte, Palazzo delle Esposizioni di Roma, dove espone l’installazione Introduzione generale alla natura e a Italy The New Domestic Landscape, MoMA, New York.
Il cinema e il teatro d’avanguardia lo vedono impegnato in varie imprese, come l’ideazione di immagini, scene e costumi per il film Salomè (1972) e la scenografia teatrale di Nostra Signora dei Turchi di Carmelo Bene (1972).
Al 1973 risale la grande antologica alla Rotonda della Besana di Milano, la partecipazione alla XII Biennale Middelheim di Anversa e l’Eden Artificiale nei Giardini della XV Triennale di Milano, nella sezione Contatto Arte-Città accanto agli interventi di Arman, Burri, De Chirico, Hundertwasser, Matta e altri.
Nel 1977 la personale I Rilievi all’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze, di cui è Accademico Ordinario, con la presentazione di Rodolfo Siviero, rende manifesta una ricerca iniziata nel 1974, un’operazione riconducibile a un’esercitazione sul linguaggio: i Rilievi, immagini anamorfiche e virtuali che appaiono sulla struttura lignea.

1980-1989
Negli anni Ottanta l’abbandono dei materiali plastici e industriali per rivolgersi a materiali più “tradizionali” (il marmo, il bronzo, la pittura a olio…) non lo distoglie dalla sua ricerca rigorosa sul linguaggio e sullo studio della incidenza della luce anche nelle opere pittoriche.
Nel 1981 realizza L’Albero della Vita, una scultura alta più di tre metri in travertino e onice romano destinata a Lignano Sabbiadoro. “Nulla più dell’albero, dalle origini del pensiero umano, si è imposto come metafora e come simbolo, simbolo della vita nel suo differenziarsi rispetto al tempo e lo spazio, simbolo della vita come differenziazione della terra, ‘asse verticale’ che si oppone alla orizzontalità dell’‘orizzonte’…”, dice Paolo Portoghesi nella presentazione dell’opera.
E’ del 1982 la personale Gino Marotta Dipinti e sculture recenti alla Galleria Rondanini di Roma con il testo introduttivo di Emilio Villa L’orizzonte artificiale.
Nel 1984, alla 41. Esposizione Internazionale d’Arte, la Biennale di Venezia, espone Le Rovine dell’Isola di Altilia, una rilettura tra memoria, rielaborazione onirica e sguardo visionario dell’antica Saepinum. L’installazione è inserita nei Giardini della Biennale, in posizione dialogante con lo spazio ideato da Carlo Scarpa per il Padiglione Italia.
La personale I Giardini di Apollo e altre Storie Barocche alla Galleria Apollodoro di Roma, presentata da Vittorio Sgarbi è dell’aprile 1986. Per l’occasione sono pubblicati i testi di Maurizio Calvesi e Paolo Portoghesi.
Nello stesso anno, nella Galleria Novecento di Palermo, ha luogo la personale Luoghi d’artificio in cui vengono esposti disegni dal 1978 al 1984 dedicati a Jorge Luis Borges: un inventario di simboli, spazi mentali e della memoria che ogni uomo può vedere in se stesso chiudendo gli occhi.
Nel 1986 è invitato alla XI Quadriennale d’Arte al Palazzo delle Esposizioni di Roma.
Il teatro lo vede impegnato nella realizzazione delle immagini, delle scene e dei costumi di Hommelette for Hamlet di Carmelo Bene (1987), che gli fanno meritare nel 1988 il Premio Ubu per la migliore scenografia.

1990-1999
A dicembre del 1990 espone nuovamente, dopo più di vent’anni, il Bosco naturale-artificiale (1967) nella mostra Roma anni ’60 Al di là della pittura al Palazzo delle Esposizioni di Roma, curata da Maurizio Calvesi e Rosella Siligato.
É dell’anno successivo la realizzazione di vetrate, tarsie, pavimento e pitture murali nel Centro Congressi Giovanni XXIII di Bergamo.
Nel 1992, oltre alla personale Il Teatro del Pellegrino al Palazzo Rondanini di Roma, con la presentazione di Fabrizio D’Amico, partecipa all’Expo Universale di Siviglia ‘92 con la Grande Sinopia italiana, una sanguigna su carta alta 140 cm e larga circa 20 metri.
Nel 1994 la mostra Paralleli all’Accademia d’Egitto di Roma, a cura dell’Accademia d’Egitto e dell’Associazione Romana delle Gallerie d’Arte Moderna.
Nel 1997 torna a esporre le sue sculture in metacrilato nella personale Gino Marotta – Metacrilati. Opere 1964-1974 alla Associazione Culturale La Palma di Roma e nella mostra Dadaismo Dadaismi a Verona, curata da Giorgio Cortenova.
Nel 1999 la personale Gino Marotta. Metacrilati, al Palazzo Ricci di Macerata, copre un arco temporale che va dagli inizi degli anni Sessanta alla seconda metà dei Settanta e presenta nuove opere in metacrilato eseguite dal 1998 al 1999. “La fervida animazione che ha pervaso l’azione di quegli anni è riemersa, nel restaurare alcuni pezzi inevitabilmente danneggiati, attivando un contagioso piacere a giocare ancora una volta con quelle materie e con quei mezzi. Il riannodare le fila di un discorso ormai lontano mi ha consentito di realizzare delle ‘nuove’ opere che figurano in questa mostra e in qualche modo ne costituiscono un prolungamento”, scrive Marotta in un testo presente nel catalogo.
A fine anno, nella personale I nuovi metacrilati alla Galleria Ca’ d’Oro di Roma, espone “quelle magiche scatole delle meraviglie, in cui il gioco delle trasparenze e delle sovrapposizioni cromatiche si mescolava con quello delle luci e delle ombre… in cui il pieno e il vuoto si scambiavano le parti e non si capiva se fossero una sola opera o tante opere…”, come dice Gian Piero Jacobelli nel testo di presentazione.
Partecipa inoltre alla mostra a cura di Plinio De Martiis L’arte Pop in Italia Pittura design e grafica negli anni Sessanta alla Galleria d’arte Niccoli di Parma. Nel 1999 è nominato accademico nazionale dell’Accademia di San Luca di Roma.

2000-2012
Dopo la partecipazione all’Expo 2000 di Hannover, espone nel 2001, nella personale La luce colorata alla Galleria Ca’ d’Oro di Roma, delle opere realizzate dal 1999 in metacrilato e luce artificiale colorata.
“Il supporto di metacrilato, come accade nelle fibre ottiche, consente il fulmineo scorrimento della luce nello spessore dei solchi incisi sulle varie superfici, facendo apparire le immagini luminose di cui si animano queste moderne ‘icone’ che mi piace immaginare laiche e prive di retorica, come suppongo dovrebbero essere i quadri nell’epoca della virtualità e della comunicazione globale, a cui questi manufatti appartengono, almeno per ragioni tecnologiche e temporali”, scrive l’artista.
Nello stesso anno al Complesso del Vittoriano di Roma, nella mostra antologica Metacrilati, espone sculture e quadri in metacrilato (1964-2001).
L’albero della vita, una scultura del 1973 alta 240 cm e altre opere entrano a far parte della Collezione Farnesina, come è illustrato nel volume Artisti italiani del XX secolo alla Farnesina, con testi di Maurizio Calvesi e Paolo Portoghesi.
Nell’estate del 2002 nella personale Rupestre, al Museo delle Ceramiche di Castelli, curata da Antonello Rubini, espone grandi massi in semirefrattario engobbiato installati su torba e numerose sculture in ceramica. “A Castelli ho visto Marotta plasmare la creta e dipingerla con la stessa sicurezza e raffinatezza di quando lavora a mani sicure il suo notissimo mondo di plastica”, scrive il curatore della mostra.
Realizza anche una grande scultura in acciaio inox alta circa 8 metri, il Grande Alone, per la XVI Edizione Scultori a Brufa nel comune di Torgiano (2002).
Nel 2003 è invitato alla mostra La Grande Svolta Anni ‘60, Palazzo della Ragione, Padova, a cura di Virginia Baradel, Ennio Ludovico Chiggio e Roberto Masiero.
Nel corso del 2004, per iniziativa degli Istituti Italiani di Cultura, un ciclo di quadri in metacrilato del 2003 è esposto in molte città dell’Asia: a Seul alla Galleria Pici; all’Istituto Italiano di Cultura di Nuova Delhi; a Karachi alla Amin Gulgee Gallery; a Islamabad all’Alliance Francaise; a Taipei alla Taipei MOMA Gallery.
Nel 2005, dopo la personale Natura e Artificio alle Scuderie Aldobrandini di Frascati, partecipa all’Expo 2005 di Aichi e alla mostra Pop Art Italia, alla Galleria Civica di Modena, a cura di Walter Guadagnini.
Nell’ottobre dello stesso anno è presente a Parigi con tre differenti mostre: Prato Artificiale alla Galerie Italienne di Boulevard Raspail; Bosco Naturale-Artificiale alla Galerie Italienne di Rue de la Fontaine au Roi; Paesaggio Artificiale alla FIAC. A novembre un piombostagno del 1957, Il Vigilante, è esposto alle Scuderie del Quirinale a Roma nella mostra Burri, gli artisti e la materia 1945-2004.
Nel 2006 partecipa alla mostra Il Modo Italiano. Italian Design and Avant-garde in the 20th Century, al Montreal Museum of Fine Arts e al Royal Ontario Museum di Toronto (riproposta nel 2007 al MaRT di Trento e Rovereto).
In aprile la personale Gino Marotta Methacrylates alla Galleria Nilufar di Milano.
A giugno, negli spazi della Galerie Italienne di Parigi, vengono riproposti gli Environnements degli anni ‘60 e nell’ottobre dello stesso anno, a Londra, durante la Frieze Art Fair, ha luogo la mostra personale Naturale-Trasparent-Artificiale: 1960 to 2006 nelle David Gill Galleries.
Nel 2007 riceve dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il Premio Vittorio De Sica per la Scultura e realizza per la città di Civitanova Marche il Trialone, una scultura in acciaio inox scatolare alta circa 9 metri nel cui bordo interno una fila di vaporizzatori di acqua e led luminosi producono un arcobaleno artificiale.
È dello stesso anno la pubblicazione della monografia di Maurizio Calvesi Marotta, con note critiche di Lorenzo Canova, volume a cura di Isa Francavilla edito da Silvana Editoriale.
Dal 2007 al 2010 partecipa alle mostre: Viaggio nell’Arte Italiana 1950-80 Cento opere dalla Collezione Farnesina (Sarajevo, Sofia, Budapest, Sibiu, Bucarest, Varsavia, Santiago del Cile, Buenos Aires, San Paolo, Lima, Caracas, e Guadalajara), a cura di Maurizio Calvesi e Lorenzo Canova (2007); ’50-’60 La scultura in Italia. Opere dalle collezioni della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, a cura di Mariastella Margozzi, Villa d’Este, Tivoli (2007); 20 Maestri della Collezione Farnesina Mostra d’Arte Contemporanea a cura di Maurizio Calvesi e Lorenzo Canova, Milano Malpensa (2007); la tanto discussa mostra /Italics/, a cura di Francesco Bonami, Palazzo Grassi, Venezia (2008); L’energia della materia, Casa Italia, Olimpiadi di Pechino (2008); Energie sottili della materia (Shangai, Pechino, Shenzhen e Saluzzo) (2008); Spazio Tempo Immagine al CIAC, Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno (2009); Il grande gioco Forme d’arte in Italia 1959-1972, a cura di Bruno Corà, alla Rotonda della Besana, Milano (2010); Roma Sessanta. Cinque scultori, a cura di Luca Beatrice, Villa Ottolenghi, Acqui Terme (2010); Scultura Internazionale a Racconigi, a cura di Luciano Caramel, Castello di Racconigi (2010).
Dal 2007 al 2010 le mostre personali: Natura e Artificio, Scuola dei Mercanti, Venezia, a cura delle Galerie Italienne di Parigi e David Gill Galleries di Londra (2007); Gino Marotta Naturale_Artificiale all’Aratro, centro per l’arte contemporanea dell’Università degli Studi del Molise a Campobasso, a cura di Lorenzo Canova; Gino Marotta Anni Cinquanta, a cura di Alberto Fiz, nello Studio Giangaleazzo Visconti di Milano (2007); Trasparente/Apparente, a cura di Maurizio Calvesi, Galleria La Nuvola, Roma (2008); Gino Marotta La rotazione dello sguardo inquieto al Modigliani Institut, Palazzo Taverna, Roma (2009); Gino Marotta Amore amore, a cura di Ada Masoero, allo Studio Giangaleazzo Visconti di Milano (2009); Gino Marotta Corteo di primavera e altre luci colorate a cura di Bruno Corà nel chiostro e in altre sale dell’Abbazia di Fiastra, Macerata (2010).
Nel 2009, alla riapertura del MACRO di Roma, nella personale Gino Marotta, a cura di Luca Massimo Barbero, espone l’Eden artificiale, una selezione di sculture in metacrilato (1967-1973) e in una seconda sala l’opera Ricognizione virtuale della savana, ideata e realizzata proprio per questa mostra, un’installazione lunga dieci metri che utilizza alcune tra le più moderne tecnologie come led e laser. “Addentrarsi nell’opera di Gino Marotta significa compiere un viaggio attraverso il tempo e la materia… Con lui abbiamo scelto di rendere la mostra al MACRO un’occasione per dare inizio a un viaggio, non lineare ma diacronico… Da una parte quindi gli animali, che muovendosi nello spazio e nella luce hanno trovato la loro collocazione in un’oasi che si trasforma in ambiente… Dall’altra parte qualcosa che si muove staticamente nell’ombra: la grande opera Ricognizione virtuale della savana è una lama di luci e colori in una sala buia. Una grande lastra in cui l’artista compie una perlustrazione del proprio lavoro, ordinando su un piano insieme immaginario e fisico le ‘icone’ virtuali di una ricerca artistica che si fa ipertesto” scrive Luca Massimo Barbero, il direttore del MACRO, nel testo di presentazione della mostra.
Presentata da Maurizio Calvesi con il testo La supernatura di Gino Marotta, la mostra Gino Marotta L’incanto della savana (2010), nella Galleria La Nuvola, propone a Roma opere che continuano e sviluppano la ricerca iniziata con Ricognizione virtuale della savana e ancora prima, nel 1999, con le opere del ciclo La luce colorata.
Nel volume Indaco Piccolo vocabolario personale, Christian Maretti Editore, 2009, sono raccolti appunti, testi, memorie, testimonianze e considerazioni private che tracciano il vocabolario personale dell’artista, protagonista e testimone degli avvenimenti culturali degli ultimi decenni.
I quadri in metacrilato realizzati tra il 1998 e il 2009 sono raccolti nel volume Gino Marotta Pinacoteca Artificiale di Lorenzo Canova, Christian Maretti Editore, 2010.
Nel 2011 è invitato alla 54. Esposizione Internazionale d’Arte, Biennale di Venezia, Padiglione Italia, dove espone il Cronotopo Virtuale, un’opera-ambiente di luce colorata in cui entrare, quasi accecarsi e perdere i riferimenti del mondo. Qui, come Marotta afferma “…la luce colorata, il colore ottico, in luogo del colore materico, assume una dimensione fisica”. Le immagini ci appaiono in tutta la loro virtualità e immaterialità.
Negli stessi mesi a Venezia, nella mostra personale Luci d’Artificio, curata da Laura Cherubini, alla Caserma Cornoldi in Riva degli Schiavoni, vengono esposte alcune delle sue opere storiche, in metacrilato e luce artificiale, e le più recenti Luci colorate.
“I lavori con la luce sono legati a un’idea di modernità che l’artista intende come libera progressione di vita”, scrive la curatrice della mostra.
Nel 2012 è invitato alla 11a Bienal de La Habana. Nella mostra Tecnica Mista Com’è fatta l’arte del Novecento, a cura di Marina Pugliese, nel Museo del Novecento di Milano, espone Natura Modulare del 1966. In primavera la personale Gino Marotta Artificiale Virtuale alla Galleria Anna D’Ascanio di Roma. A settembre Gino Marotta Metacrilati 2003-2010 Luci colorate 2011-2012 alla Galleria Peccolo di Livorno.
Il 6 ottobre, alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma, la mostra Gino Marotta Relazioni Pericolose a cura di Laura Cherubini e Angelandreina Rorro. La mostra ha un carattere del tutto inusitato, “…una vera e feconda relazione intellettuale che ha prodotto una ‘mostra non mostra’, un percorso che si fa naturalmente seguendo quello già fatto da Marotta. Una relazione pericolosamente viva tra persone con ruoli diversi e con un obiettivo comune: verificare la vitalità dello spazio museo e delle sue collezioni rileggendolo attraverso gli occhi e il lavoro di uno dei protagonisti della scena artistica del secondo novecento e della contemporaneità. Per circa un anno dunque, si sono susseguiti appunti, incontri, confronti tra Gino Marotta, Isa Francavilla Marotta, Laura Cherubini, Angelandreina Rorro e la soprintendente Maria Vittoria Marini Clarelli che ha condiviso l’idea di un percorso e ne ha permesso la realizzazione”, scrivono le curatrici. “Ho provato a adoperare il materiale museo come i colori a olio, il bronzo, il metacrilato e tutto quanto riappare nella risacca della memoria, personale e storica… In questa occasione ho recuperato e messo insieme tutte le energie, le sinergie e i ricordi che mi legano a ognuna delle opere della collezione, in una sorta di diario sentimentale e forse ironico che mi autorizza a giostrare con il museo, i suoi contenuti e il mio giardino immaginario. Senza dimenticare il rispetto e l’amore per ogni suo frammento, ho provato a provocare dei cortocircuiti, direi i miei cortocircuiti che in questo luogo da sempre alimentano la passione e il desiderio per il non manifesto, la fata che insegue ogni artista”, dice Marotta a proposito della mostra.
In ottobre una sua opera della collezione Farnesina viene esposta nella collettiva Il Palazzo della Farnesina e le sue collezioni nell’Istituto Italiano di Cultura a Londra. Il 16 novembre 2012 muore a Roma.
Il 9 febbraio, alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma, ha luogo la giornata di studio Per Gino Marotta, incontro di studio. Ne sono relatori Maria Vittoria Marini Clarelli, Maurizio Calvesi, Laura Cherubini, Bruno Corà. Fra le molte testimonianze: Lorenzo Canova, Barbara Martusciello, Raffaele Gavarro. In quell’occasione esce il libro di Gino e Isa Marotta Lettere. CorRispondenze di arte e di vita, edito da Maretti Editore, una sorta di diario-epistolario – scrive Marotta nella presentazione del volumetto – “che da tempo costituisce una singolare consuetudine tra me e mia moglie Isabella. Si intravede chiaramente la reciprocità dei ruoli di testimoni e complici che in questa avventura ci coinvolge e ci responsabilizza senza ipocrisie né infingimenti di comodo. Un modo non comune di costruire un rapporto sentimentale e creativo”.
A marzo la mostra A Roma Obras de la colección Farnesina, Museo de Arte Carrillo Gil, Ciudad de México, a cura di Laura Cherubini.